"La morte non cancella la morte, ma si somma alla morte, allungando la lista delle violazioni alla legge morale".
L'inciso, tratto dalla prefazione a cura di Furio Colombo, bene introduce l'impostazione di fondo sottesa al volume di Maria Giovanna Maglie, dedicato al tema sempre attuale della pena di morte. Già il titolo, del resto, " Vendetta di Stato", non lascia dubbi sulla scelta di campo che la giornalista intende con forza sostenere, in linea con le tesi-manifesto del movimento abolizionista, nel senso cioè di considerare la pena di morte come un castigo inutile ed irragionevole, crudele e immorale, non educativo e che produce solo altra violenza. Il percorso narrativo, articolato tra storia e cronaca, è puntuale e a tratti toccante. Anche se in effetti il discorso sulla pena capitale riguarda soprattutto l'Asia (in Cina si contano oltre mille esecuzioni l'anno, in molti casi per crimini non violenti e di lieve entità), siamo abituati ad un ampio dibattito dell'opinione pubblica soprattutto per ciò che concerne l'applicazione della pena negli Stati Uniti, paese leader delle democrazie occidentali. Per questa ragione, l'Autrice dedica ampio spazio alla ricostruzione del difficile percorso del movimento abolizionista americano, delle sue battaglie, delle speranze maturate invano. È infatti nel 1845 che si costituisce la prima associazione abolizionista americana, l'American Society for the Abolition of Capital Punishment, ma bisogna attendere il 1962 perché J.F. Kennedy, eletto Presidente degli Stati Uniti, promuova un'indagine per accertare se e in quali circostanze la pena di morte sia incompatibile e contraria alla Costituzione. Nonostante gli esiti dell'indagine condannino la pena capitale e affidino alla Corte Suprema il compito di tracciare un processo evolutivo che porti a livelli più alti di civiltà e di progresso, l'idea abolizionista fatica ad affermarsi. Com'è ampiamente noto, la lunga sequela di condanne eseguite, con una permanenza media del condannato nel braccio della morte di dieci anni, nonché i casi non sporadici di condannati di cui è stata successivamente accertata l'innocenza, non hanno tuttavia sopito un dibattito che recentemente sembra dividere e angosciare in maniera più marcata la società americana. Il Governatore dell'Illinois, George Ryan, di fronte a ben tredici innocenti giustiziati, ha imposto nel 1977 una moratoria delle esecuzioni che una parte della stessa componente fautrice della pena capitale ha chiesto poi di estendere all'intero Paese. Più recentemente, i casi di condanna capitale evidenziano interventi sempre più incisivi di annullamento della Corte Suprema e significative divisioni negli organi decidenti, mentre molti media, come il New York Times, apertamente sostengono il movimento abolizionista e la stessa industria cinematografica holliwoodiana ha prodotto opere importanti di denuncia che hanno emozionato gli spettatori nel mondo intero.
La nostra Costituzione non prevede il ricorso alla pena capitale. È il 1764 quando Cesare Beccaria scrive nel libro Dei delitti e delle pene: "niente del contratto sociale offre allo Stato il diritto di privare un cittadino della vita". Questo tipo di cultura giuridica, ancorata all'idea di certezza del diritto, costituisce uno spartiacque tra l'esperienza europea e quella americana. Tale tipo di condanna è stata abolita, anche grazie alla politica del Consiglio d'Europa, nella gran parte degli Stati europei, che rispettano comunque da molti anni, anche dove tale principio non è stato formalizzato in una legge, una generale moratoria delle esecuzioni. Del resto, anche nello scorso mese di luglio, i rappresentanti dei Parlamenti europei hanno sottoscritto, nel convegno di Assisi, l'impegno comune ad esercitare pressioni politiche nei confronti degli Stati che applicano ancora la pena di morte.
In relazione al caso di Derek Rocco Barnabei - cittadino statunitense di origine italiana, accusato di omicidio, condannato nel 1994, per il quale è stata fissata per il 14 settembre 2000 l'esecuzione della pena capitale nello Stato della Virginia - il Parlamento italiano il 26 luglio 2000 ha approvato all'unanimità (presenti 466 votanti 462) una mozione che impegna il Governo ad intervenire presso il Governatore della Virginia e il Governo degli Stati Uniti per il caso Barnabei e presso l'Unione europea per l'approvazione da parte dell'ONU di una risoluzione europea tesa ad una moratoria della pena di morte in tutto il mondo.
Secondo le tesi del movimento abolizionista, che la Maglie condivide, la pena di morte "conclude" ogni dibattito sulla colpevolezza dell'accusato: per la sua stessa irreversibilità e non risarcibilità contrasta con ogni forma di garanzia giuridica vanificando il senso della giustizia. Nella società di oggi, anzi, non rappresenta neppure un sicuro deterrente. Pur trascurando le statistiche sull'incremento della criminalità, non v'è dubbio che in molti casi l'applicazione della pena possa conferire toni di epico eroismo ai peggiori assassini. Il condannato diventa un divo e la spettacolarizzazione deforma il senso della giustizia, determinando una singolare somiglianza tra i due versanti della morte, quello dell'impulso bestiale dell'assassino e quello razionalmente regolato dalla legge. Un libro per riflettere, pertanto, che non può non coinvolgere, per la complessità giuridica, morale, religiosa e culturale del problema, tutte le coscienze.
|